È REATO MINACCIARE L’AMANTE DI RIVELARE L’ADULTERIO – CORTE DI CASSAZIONE – Sez. 2° PENALE – Sentenza n.43017/2016

Con la sentenza n°43107/2016 la seconda sezione penale della Corte di Cassazione ha nuovamente affrontato il tema dell’amante che minaccia il partner per non rivelare la relazione extraconiugale in cambio di denaro o altra utilità, conseguendo un profitto ingiusto.
Il tribunale di Perugia in data 24 settembre 2013 condannava l’imputata per estorsione continuata per aver costretto, in diverse occasioni, il suo amante a consegnarle somme di denaro procurandosi per sè un ingiusto profitto mediante la minaccia di rivelare alla moglie una loro relazione sentimentale extra coniugale, testimoniata, a suo dire da alcune foto che li ritraeva in atteggiamenti compromettenti.
La Suprema Corte con la sentenza n.43107/2016 ha confermato il reato di estorsione nei confronti dell’imputata, accogliendo però la tesi difensiva ritenendo integrata un’unica azione estorsiva nella continuazione.

La S.U. evidenzia come il primo giudice aveva affrontato e risolto le questioni sollevate dalla difesa seguendo un percorso motivazionale caratterizzato da completezza argomentativa e dalla puntualità dei riferimenti agli elementi probatori acquisiti e rilevanti; di tal che, trattandosi di conferma della sentenza di primo grado, i giudici di seconda istanza, a fondamento del convincimento espresso, legittimamente hanno richiamato anche la motivazione addotta dal Tribunale, senza peraltro mancare di ricordare i passaggi più significativi dell’iter argomentativo seguito dal primo giudice e di fornire autonome valutazioni a fronte delle deduzioni dell’appellante: è principio pacifico in giurisprudenza quello secondo cui, nel caso di doppia conforme, le motivazioni della sentenza di primo grado e di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione (“ex plurimis”, Sez. 3, n. 4700 del 14/02/1994 Ud. – dep. 23/04/1994 – Rv. 197497). Nella concreta fattispecie la decisione impugnata si presenta dunque formalmente e sostanzialmente legittima ed i suoi contenuti motivazionali forniscono, con argomentazioni basate su una corretta utilizzazione e valutazione delle risultanze probatorie, esauriente e persuasiva risposta ai quesiti concernenti la idoneità delle minacce, l’attendibilità delle dichiarazioni della parte offesa, la qualificazione dei fatti in termini di estorsione.
Accoglie invece il terzo motivo di ricorso, riconoscendo un’unica azione estorsiva.

Secondo l’insegnamento della Suprema Corte il ripetersi delle minacce o delle violenze da parte dell’estorsore per costringere la vittima non da luogo, di per sè, ad una pluralità di reati, occorrendo prima accertare se ci si trovi in presenza di una azione unica o meno, e ciò alla stregua del duplice criterio: finalistico e temporale. Azione unica, infatti, non equivale ad atto unico, ben potendo la stessa essere composta da una molteplicità di “atti” che, in quanto diretti al conseguimento di un unico risultato, altro non sono che un frammento dell’azione, una modalità esecutiva della condotta delittuosa. L’unicità del fine a sua volta non basta per imprimere all’azione un carattere unitario essendo necessaria, la così detta contestualità, vale a dire l’immediato succedersi dei singoli atti, sì da rendere l’azione unica. I diversi conati posti in essere per procurarsi un ingiusto profitto costituiscono autonomi reati, unificabili con il vincolo della continuazione, quando, singolarmente considerati in relazione alle circostanze del caso concreto e, in particolare, alle modalità di realizzazione e soprattutto all’elemento temporale, appaiono dotati di una propria completa individualità; al contrario, si ha un solo reato di estorsione, pur in presenza di diversi atti intimidatori, allorché gli stessi costituiscono singoli momenti di un’unica azione perchè sorretti da un’unica e continua determinazione, che non registri sul piano della volontà interruzioni o desistenze.( N. 2070 del 1995 Rv. 200554, N. 27314 del 2003 Rv. 225174, N. 41167 del 2013 Rv. 256729; N. 7555 del 2014 Rv. 258543).

                    CORTE DI CASSAZIONE – PENALE – Sentenza n.43017/2016

                                                              SENTENZA

sul ricorso proposto da: -omissis- avverso la sentenza n. 1026/2005 CORTE APPELLO di PERUGIA, del 24/09/2013 visti gli atti, la sentenza e il ricorso udita in PUBBLICA UDIENZA del 16/06/2016 la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIOVANNA VERGA Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. cIàz.A7-/)

                                                    MOTIVI DELLA DECISIONE

Con sentenza in data 24.9.2013 la Corte d’appello di Perugia, in parziale riforma della sentenza del Tribunale che in data 16.10.2004 aveva condannato – omissis – per estorsione continuata per avere costretto -omissis – a consegnarle la somma rispettivamente di 1 milione di lire presso-omissis. e in una successiva occasione in data 19 dicembre 2000 presso l’esercizio commerciale – omissis – sempre in – omissis- la somma di lire 5 milioni procurandosi per sé un ingiusto profitto, mediante la minaccia di rivelare alla moglie del – omissis – una loro relazione sentimentale extra coniugale, testimoniata, a suo dire da alcune foto che li ritraeva in atteggiamenti compromettenti, applicava all’imputata la pena accessoria dell’interdizione dai PPUU per anni 5, concedeva l’indulto sulle pene principali limitatamente ad anni 3 e all’intera pena pecuniaria, confermando nel resto. Ricorre per cassazione l’imputata deducendo:
1. insussistenza del reato per inidoneità della minaccia;
2. inattendibilità delle dichiarazioni della parte offesa;
3. insussistenza della contestata continuazione perché i due versamenti avvenuti il primo il 4 dicembre 2000 e il secondo il 19 dicembre 2000 sono relativi ad un’unica azione estorsiva;
4. diversa qualificazione del fatto come truffa considerato che il male asseritamente minacciato come possibile ed eventuale non era proveniente direttamente o indirettamente da chi lo prospettava.

Trattasi pertanto di pericolo inesistente I motivi sub 1, 2 e 4 sono manifestamente infondati. La – omissis- ha riproposto le tesi difensive già sostenute in sede di merito e disattese dal Tribunale prima e dalla Corte d’appello poi. Al riguardo giova ricordare che nella giurisprudenza di questa Corte è stato enunciato, e più volte ribadito, il condivisibile principio di diritto secondo cui “è inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici. La mancanza di specificità del motivo, invero, dev’essere apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità conducente, a mente dell’art. 591, comma 1, lett. c), all’inammissibilità” (in termini, Sez. 4, n. 5191 del 29/03/2000 Ud. – dep. 03/05/2000 – Rv. 216473; CONF: Sez. 5, n. 11933 del 27/01/2005, dep. 25/03/2005, Rv. 231708)
E deve inoltre evidenziarsi che il primo giudice aveva affrontato e risolto le questioni sollevate dalla difesa seguendo un percorso motivazionale caratterizzato da completezza argomentativa e dalla puntualità dei riferimenti agli elementi probatori acquisiti e rilevanti; di tal che, trattandosi di conferma della sentenza di primo grado, i giudici di seconda istanza, a fondamento del convincimento espresso, legittimamente hanno richiamato anche la motivazione addotta dal Tribunale, senza peraltro mancare di ricordare i passaggi più significativi dell’iter argomentativo seguito dal primo giudice e di fornire autonome valutazioni a fronte delle deduzioni dell’appellante: è principio pacifico in giurisprudenza quello secondo cui, nel caso di doppia conforme, le motivazioni della sentenza di primo grado e di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione (“ex plurimis”, Sez. 3, n. 4700 del 14/02/1994 Ud. – dep. 23/04/1994 – Rv. 197497).
Nella concreta fattispecie la decisione impugnata si presenta dunque formalmente e sostanzialmente legittima ed i suoi contenuti motivazionali forniscono, con argomentazioni basate su una corretta utilizzazione e valutazione delle risultanze probatorie, esauriente e persuasiva risposta ai quesiti concernenti la idoneità delle minacce, l’attendibilità delle dichiarazioni della parte offesa, la qualificazione dei fatti in termini di estorsione. Deve invece essere accolto il terzo motivo di ricorso. Secondo l’insegnamento della Suprema Corte il ripetersi delle minacce o delle violenze da parte dell’estorsore per costringere la vittima non da luogo, di per sè, ad una pluralità di reati, occorrendo prima accertare se ci si trovi in presenza di una azione unica o meno, e ciò alla stregua del duplice criterio: finalistico e temporale.
Azione unica, infatti, non equivale ad atto unico, ben potendo la stessa essere composta da una molteplicità di “atti” che, in quanto diretti al conseguimento di un unico risultato, altro non sono che un frammento dell’azione, una modalità esecutiva della condotta delittuosa. L’unicità del fine a sua volta non basta per imprimere all’azione un carattere unitario essendo necessaria, la così detta contestualità, vale a dire l’immediato succedersi dei singoli atti, sì da rendere l’azione unica. I diversi conati posti in essere per procurarsi un ingiusto profitto costituiscono autonomi reati, unificabili con il vincolo della continuazione, quando, singolarmente considerati in relazione alle circostanze del caso concreto e, in particolare, alle modalità di realizzazione e soprattutto all’elemento temporale, appaiono dotati di una propria completa individualità; al contrario, si ha un solo reato di estorsione, pur in presenza di diversi atti intimidatori, allorché gli stessi costituiscono singoli momenti di un’unica azione perchè sorretti da un’unica e continua determinazione, che non registri sul piano della volontà interruzioni o desistenze.( N. 2070 del 1995 Rv. 200554, N. 27314 del 2003 Rv. 225174, N. 41167 del 2013 Rv. 256729; N. 7555 del 2014 Rv. 258543).

Nel caso in esame i pagamenti, pur realizzati in distinti contesti temporali, sono stati sorretti da un’unica e continua determinazione e quindi costituiscono momenti di un’unica azione Il reato, ritenuto che deve trovare applicazione la disciplina della prescrizione ante Novella del 2005, e rilevato che erano state concesse le circostanze attenuanti generiche e che quindi il termine massimo di prescrizione per il combinato disposto degli artt. 157 e 160 ultimo comma era pari ad anni 15, risulta prescritto alla data del 19.12.2015. La sentenza impugnata deve pertanto essere annullata senza rinvio per essere il reato estinto per prescrizione.
                                                                   P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato è estinto per prescrizione.
Così deliberato in Roma il 16.6.2016

Il Consigliere estensore Presidente Giovanna VERGA Ant nig PRESTIPINO